27 Gen Globesity infantile: obesità e disturbi da alimentazione incontrollata in età evolutiva
L’obesità infantile è un fenomeno dilagante e persistente: analizziamo le cause, le conseguenze e le strategie migliori per affrontarlo
L’obesità rappresenta l’epidemia non infettiva di più vaste proporzioni del terzo millennio, in grado di ridurre di 10 anni le aspettative di vita di chi ne è affetto.
Ancora oggi, nonostante gli sforzi profusi, non è stata trovata una soluzione definitiva a lungo termine.
Un soggetto affetto da obesità rischia 5 volte di più di ammalarsi di ipertensione, diabete, ictus, patologie cardiache, tumori, etc.
E purtroppo questo fenomeno non lascia indenne la fascia giovane della popolazione: l’andamento dell’obesità infantile è allarmante.
Secondo gli ultimi dati dell’OMS (2017) in Europa 1 bambino su 3 è sovrappeso o obeso.
L’Italia, assieme a Spagna e Grecia, ha il maggior numero di bambini in obesità di tutta Europa e il Sud Italia ha il triste primato del numero di bambini obesi.
Ma come siamo arrivati a tutto questo?
Obesità infantile: storia e cause
I dati forniti dall’OMS sembrerebbero quasi paradossali nel Paese della dieta mediterranea, eletta più volte la dieta migliore al mondo.
In realtà, i cambiamenti dello stile di vita del mondo occidentale sono tutti favorevoli a un incremento di peso: negli ultimi 100 anni abbiamo cambiato il nostro modo di mangiare ma anche di muoverci.
Dedichiamo alla preparazione dei pasti sempre meno tempo quindi scegliamo spesso cibi preconfezionati e processati (ricchi di additivi, zuccheri e grassi quindi molto calorici).
Pensiamo al diffondersi, soprattutto in questo ultimo anno, del food delivery: ordinare cibo da farsi recapitare a casa è ormai abitudine consolidata. Bastano pochi click e ogni tipo di cibo è subito da noi. Questo ovviamente può facilitare la compulsione da cibo, soddisfando rapidamente ogni nostro desiderio.
È una vera e propria rivoluzione culturale.
È cambiato il rapporto con il cibo: non è più utilizzato solo per sostentamento e convivialità ma anche come “automedicazione” per far fronte a eventi stressanti della vita o a emozioni vissute negativamente e ritenute insostenibili. L’assunzione di cibo ci dà conforto emotivo, aiutandoci ad attutire l’impatto dello stress. Si mangia perché annoiati, stressati, depressi, per rabbia, perché veniamo presi in giro: sono le stesse cause di altre dipendenze (fumo, alcool, droga).
Alla base c’è una correlazione tra alimenti ricchi di zuccheri che attivano la secrezione di setonina, un neurotrasmettitore che ci fa sentire più tranquilli e sereni, e tra alimenti grassi che stimolano la produzione di endorfine che ci donano piacere.
Questi alimenti quindi ci fanno sentire meglio ma per breve tempo e solo apparentemente.
Inoltre l’attività fisica in età evolutiva si è molto ridotta: le generazioni precedenti passavano molto più tempo all’aria aperta; oggi sono maggiori invece le ore passate in macchina, di fronte a monitor e tablet.
Obesità infantile: l’effetto tracking
Tutto questo ha portato ai numeri allarmanti di cui parlavo sopra. Abbiamo giovani ragazzi che hanno patologie che fino a una decina di anni fa erano esclusività dell’età adulta.
Il problema del bambino affetto da obesità non è meno grave dell’adulto, anzi.
Presentare un peso sovrabbondante da bambini predispone a mantenere tale sovrappeso in età adolescenziale e poi adulta. Infatti fra i 6 mesi e i 18 anni il numero di adipociti (cellule di grasso) aumenta di 10 volte: più ne aumenta il numero, più ovviamente ne avremo in età adulta. Si chiama effetto “tracking”: una condizione presente nell’infanzia tende a mantenersi nell’età adulta.
L’obesità è la causa più frequente di accelerazione di crescita e anticipo sviluppo puberale. Quello che dobbiamo favorire invece è uno sviluppo armonico, secondo il potenziale individuale di crescita.
Il peso eccessivo predispone a sviluppare o aggravare patologie già in età evolutiva come: ipertensione e malattie cardiovascolari, iperglicemia e diabete, iperlipidemie, malattie del fegato, disturbi gastrointestinali, disturbi respiratori, complicanze ortopediche, disturbi ormonali e ginecologici e disturbi neurologici.
Ma perché così tanti giovani si ammalano di obesità?
Innanzitutto è fondamentale capire che l’obesità è una patologia, che non dipende dalla volontà personale, il discorso è molto più complesso, le cause sono multifattoriali. Perciò bisogna porre attenzione anche alla stigmatizzazione dall’individuo affetto da obesità che viene colpevolizzato dalla società, a volte dai genitori stessi o dai professionisti sanitari.
In molte storie che ascolto nel mio studio di nutrizione spesso sono stati proprio dei commenti negativi riguardo il peso i fattori scatenanti di un disturbo del comportamento alimentare.
Dobbiamo provare a immaginare l’obesità e il disturbo da alimentazione incontrollata in età infantile come una tana: un rifugio dove il ragazzo si nasconde, pieno di scorte alimentari. Lì dentro si sente al sicuro, anche se solo e abbandonato, ed è difficile farlo uscire. Il cibo diventa un anestetico per emozioni che fanno tanta paura.
I disordini alimentari in età evolutiva rivelano una difesa rispetto al dubbio di non essere accettati, desiderati e rispettati nella propria individualità e soggettività.
Per questo la cura di questi ragazzi non dovrà riguardare solo il lato biologico strettamente legato al peso ma anche quel nutrimento psichico che è evidentemente mancato.
Spesso infatti nelle famiglie di questi ragazzi si evidenziano un alto livello di criticismo sul peso e alte aspettative, una scarsa affettività e un inadeguato coinvolgimento genitoriale.
Ma i fattori di rischio sono molti: genetici, psicologici-psichiatrici, familiari, socio-culturali.
Sappiamo benissimo quanto i social media siano mezzi potentissimi nel veicolare messaggi spesso sbagliati in campo alimentare e come l’industria del marketing alimentare spinga per farci mangiare sempre di più , soprattutto cibi ricchi di zuccheri e grassi.
Tutto il mondo occidentale è tendenzialmente obesogeno.
Obesità infantile: il ruolo della famiglia
Fondamentale è il ruolo dei genitori. Questi dovrebbero fare da “influencer” per i propri figli: l’educazione alimentare passa innanzitutto dalla famiglia e poi dal contesto sociale e i genitori sono il modello più autorevole per un bambino. Le scelte alimentari e l’esempio dello stile di vita della famiglia condizionerà permanentemente il bambino e la sua salute fisica e psichica.
È importante porre a tal fine attenzione alla cura nel momento della preparazione e condivisione dei pasti, il bambino si sentirà protetto.
Condividere il pasto rassicura il bambino e gli conferma la sua identità sociale, rafforza il suo senso di appartenenza alla famiglia e favorisce l’acquisizione di competenze alimentari salutari.
Più spazio viene tolto a questi momenti, più il bambino sarà influenzato dal marketing alimentare.
Dobbiamo fare in modo di essere i maggiori influencer per i nostri figli.
Quale strategia è la migliore per ostacolare questa epidemia globale?
Gli interventi multidisciplinari, che coinvolgono la famiglia, il pediatra, lo psicologo e il nutrizionista si sono rivelati i più efficaci.
È fondamentale attuare dei piani di prevenzione primaria, attraverso un’educazione alimentare rivolta alle famiglie e fatta anche nelle scuole dell’obbligo, in maniera ben strutturata.
Il pediatra di famiglia ha un ruolo di grande responsabilità: deve innanzitutto riconoscere il problema, farlo accettare alla famiglia ma ancor prima prevenire.
Il coinvolgimento dei genitori è una condizione basilare per fronteggiare questo problema.
Se decidete di portare i vostri figli da un nutrizionista, chiedete sempre che sia formato in disturbi alimentari e che lavori in équipe con uno psicologo psicoterapeuta.
L’impegno deve venire da più parti: ne va del futuro dei nostri figli.
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